“This is the end” cantava Jim Morrison con i suoi Doors… canzone perfetta per rappresentare l’infausto destino dell’ Authorship di Google. Eh sì, la grande G ha deciso di “concludere” l’esperimento relativo all’attribuzione dei contenuti, cominciato anni fa e mai realmente decollato.
L’Authorship permetteva agli autori di dimostrare di essere i reali creatori di un determinato contenuto. Opportunità che sulla carta pareva certamente interessante, ma che nella realtà non ha mai trovato il seguito sperato. La maggior parte dei blogger e degli influencer (le persone a cui forse più era destinata) non la utilizzavano, privandola di quel necessario “humus” per farla crescere ed affermare (secondo Forbes solo un 30% dei principali influencer aveva adottato l’authorship). Gli editori stessi non avevano mai dato l’impressione di valutarla come una funzione utile, tant’è che i due terzi dei blog e siti di news non la utilizzava.
Google, sempre attenta e in ascolto, non poteva certamente far finta di nulla. Il fallimento dell’Authorship era palpabile e già da qualche settimana Google era corsa ai ripari, smantellandola, lentamente, quanto inesorabilmente. A fine Luglio è stato il turno della foto dell’autore nei risultati di ricerca, tolta in fretta e furia, oggi quello dello “spegnimento” dell’Authorship dal Web Master Tools.
Una novità “spiazzante” per molti la fine dell’Authorship, ma non per Google, che ha sa sempre dimostrato come la sua ricerca per migliorarsi sia continua e come non abbia il minimo timore di testare innovazioni e di farle morire se non necessarie.