Il nome “dolce” (biscottino) non rispecchia appieno il loro utilizzo. Attraverso questi frammenti di codice, utili alla memorizzazione d’informazioni sugli accessi web, le grandi compagnie da anni riescono a tenere traccia dei nostri movimenti, nonché a migliorare la profilazione e conseguentemente l’efficacia della pubblicità online.
Nonostante quasi vent’anni di onorato servizio, sembra che i grandi colossi del web Google, Facebook e Microsoft stiano per abbandonarne l’utilizzo. A quanto dice il Wall Street Journal il nuovo sistema “potrebbe cambiare radicalmente gli equilibri di potere nell’industria pubblicitaria globale”, un’azienda da oltre 120 miliardi di dollari l’anno. La volontà è quella di raccogliere un maggior numero d’informazioni sui propri utenti.
Google sta valutando concretamente la possibilità di passare ad un sistema che assocerebbe un identificatore univoco e anonimo a ogni utente: il piano seppur ancora vago porterebbe ad un tracciamento ben più ampio rispetto ai cookie. Il sistema raggrupperebbe i dati degli utenti sui diversi prodotti dell’azienda, quali Chrome, Gmail e Android, ufficialmente con lo scopo di “migliorare la sicurezza, l’esperienza di utilizzo e assicurare che il web resti economicamente sostenibile”, ma ufficiosamente per sfruttare ancora di più le potenzialità legate alla pubblicità.
Anche Microsoft sembra convinta ad intraprendere la stessa direzione. Mercoledì ha dichiarato che gli inserzionisti potranno monitorare gli utenti di applicazioni per Windows 8 e 8.1. L’azienda assegnerà a ogni utente un numero identificativo unico che traccerà la loro attività su tutte le app. Una mossa simile ad Apple, che da inizio anno offre ai suoi partner commerciali la possibilità di personalizzare le pubblicità mostrate agli utenti.
Il nuovo sistema è già parzialmente attivo anche su Facebook. Da Ottobre un nuovo strumento permette di tracciare i dati degli utenti aggirando i tradizionali cookie di terze parti. “Quando una persona visita un sito web che vende scarpe”, racconta sempre il Wsj, “un pezzo di codice Facebook piazzato su quel sito – il cookie proprietario di Facebook – riconosce che quell’utente si è già collegato a Facebook con le proprie credenziali. Il venditore di scarpe può quindi inviare alla persona una pubblicità per scarpe sull’app mobile di Facebook anche se l’utente non ha mai fatto il login sul sito”.
Dubbi e perplessità seguono queste novità, ritenute da molti troppo invasive e irrispettose della privacy: se infatti è possibile disattivare il tracciamento dei cookie non si può dire lo stesso per questi nuovi strumenti.